«Si può dividere la realtà umana, che sembra in effetti di per sé divisa, in culture, eredità storiche, tradizioni, sistemi sociali e perfino razze diverse, e salvare la propria umanità dalle conseguenze?»
(E. Said, Orientalismo, Feltrinelli 2007)
La pratica del Reiki, originaria del Giappone, ha attraversato una significativa trasformazione nel suo percorso di diffusione in Italia. Ciò che inizialmente si presentava come un sistema di guarigione spirituale integrato nel contesto culturale giapponese è stato progressivamente adattato alle esigenze di un mercato occidentale. Questo processo, che ha portato alla mercificazione del Reiki, solleva importanti interrogativi sulle dinamiche di potere, appropriazione culturale e razzializzazione.
Mercificazione, orientalismo, dinamiche culturali e razzismo spirituale di Evola
Negli ultimi venti anni, la crescente diffusione della terapia Reiki in Italia ha consolidato rappresentazioni del Giappone come un luogo di saggezza spirituale e autenticità (Monserrati, 2020). Questa immagine idealizzata, intrisa di orientalismo e spiritualità esotica, rivela però dinamiche razzializzanti sottili ma pervasive (Kowner, 2013). Edward Said, nel suo celebre lavoro sull’orientalismo (2007), ha evidenziato come tali rappresentazioni costruiscano un “altro” esotico e subordinato, utile a rafforzare l’identità occidentale dominante. Un aspetto connesso è il concetto di razzismo spirituale, elaborato da Julius Evola durante il periodo fascista, che rappresenta una cornice ideologica importante per comprendere la razzializzazione delle pratiche spirituali orientali come il Reiki. Evola attribuiva una gerarchia spirituale alle razze, collocando la razza ariana al vertice, ma riconoscendo al Giappone una “nobiltà spirituale” distinta e subordinata. Questa visione legittimava la reinterpretazione e l’appropriazione di tradizioni giapponesi in chiave simbolica, funzionale alla resistenza contro la modernità decadente dell’Occidente. In particolare, il Reiki, originario del Giappone degli anni Venti del Novecento, è stato trasformato per rispondere alle esigenze di un pubblico italiano, divenendo una “spiritualità di consumo” accessibile ma priva dei suoi tratti caratterizzanti locali (Dei, 2012).
L’analisi critica mostra come questo fenomeno rifletta aspettative italiane di autenticità spirituale, spesso interpretate in maniera acritica e astorica (Basilone, 2019). In particolare, si evidenzia un posizionamento del Reiki all’interno di un processo di egemonia culturale, inteso in senso gramsciano, attraverso il quale l’Italia riadatta e controlla elementi di alterità per rafforzare la propria identità e il proprio dominio simbolico (Gramsci, 1975). La prospettiva intersezionale mette in luce come razza, spiritualità, genere e classe si intreccino in queste dinamiche, consolidando un’identità italiana bianca e dominante (Hughey, 2010). Il concetto di intersezionalità, sviluppato originariamente da Kimberlé Crenshaw, sottolinea come i diversi assi di oppressione e privilegio non agiscano in modo indipendente, ma si sovrappongano e si interconnettano. Nel contesto italiano, queste dinamiche si manifestano non solo attraverso la razzializzazione e l’orientalismo, ma anche tramite le costruzioni di genere e classe che escludono determinate identità dal discorso sulla spiritualità. Ad esempio, la figura del maestro Reiki italiano è spesso rappresentata come bianca, di classe media o alta, e portatrice di una legittimità spirituale che deriva tanto dal lignaggio quanto dalla conformità a norme culturali occidentali. Questa dinamica è amplificata da processi descritti da Said (2007), in cui l’orientalismo rappresenta l’Oriente come una costruzione simbolica funzionale ai bisogni identitari dell’Occidente. Il razzismo spirituale di Evola, in questo contesto, offre un ulteriore strumento interpretativo per comprendere come l’appropriazione di pratiche spirituali orientali come il Reiki sia spesso accompagnata da una narrativa che esotizza e al tempo stesso subordina l’Oriente, consolidando l’idea di superiorità spirituale occidentale.
Il concetto di kokoro e la spiritualità in occidente
Nel contesto giapponese originario, il concetto di kokoro (心), che significa “cuore” o “mente”, rappresenta un elemento centrale nella pratica del Reiki. Kokoro riflette un equilibrio tra la mente razionale e le emozioni, ed è considerato fondamentale per il benessere sia spirituale che fisico. Il sistema Shin-shin Kaizen Usui Reiki Ryōhō (“La terapia Reiki di Usui per il miglioramento della mente e del corpo”) evidenzia come l’armonia interiore fosse concepita come un prerequisito per la salute complessiva dell’individuo.
Quando il Reiki è stato introdotto in Occidente, il concetto di kokoro ha subito una trasformazione significativa. Da un equilibrio dinamico tra mente, corpo ed emozioni, è stato spesso ridotto a una visione essenzialmente esoterica e individualistica della spiritualità. Questa reinterpretazione si è focalizzata su elementi di “energia universale” e “guarigione” in chiave più commerciale, privando kokoro della sua dimensione culturale e relazionale originale. Questo cambiamento riflette una tendenza occidentale a semplificare le pratiche spirituali non occidentali per adattarle alle esigenze di un mercato orientato al consumo.
Nel contesto italiano, il termine kokoro è raramente utilizzato nei discorsi sul Reiki. Al contrario, si tende a enfatizzare concetti come “autenticità” e “connessione energetica”, che risuonano maggiormente con il linguaggio della spiritualità di consumo. Questa rimozione del kokoro dalla narrativa occidentale sul Reiki non solo impoverisce la comprensione della pratica, ma contribuisce anche a un processo di razzializzazione culturale, dove gli elementi giapponesi sono esotizzati o reinterpretati per soddisfare le aspettative occidentali.
Reiju e lignaggio energetico
Un elemento fondamentale del Reiki è il concetto di reiju, che può essere tradotto come “trasmissione spirituale”. Nel contesto giapponese, il reiju non era inteso come un’attivazione che conferisse immediatamente la capacità di praticare Reiki, bensì come un rito di passaggio che consolidava la relazione tra maestro e allievo e segnava una crescita personale e spirituale. Questo processo era considerato parte integrante dell’apprendimento continuo e della disciplina necessaria per interiorizzare i principi del Reiki.
In Occidente, il reiju è stato spesso reinterpretato come un momento di “iniziazione” altamente ritualizzato, che conferisce al praticante una sorta di legittimità spirituale. Tuttavia, questa reinterpretazione ha enfatizzato gli aspetti simbolici e mistici del rito, spesso svincolandolo dal suo contesto originario. Il risultato è una pratica che, pur mantenendo una parvenza di autenticità, è stata trasformata per risuonare con le aspettative di un pubblico occidentale orientato al consumo spirituale.
Il concetto di lignaggio energetico è strettamente legato al reiju e rappresenta un altro aspetto cruciale della pratica del Reiki. In Giappone, il lignaggio è visto come una catena ininterrotta di trasmissione che garantisce l’autenticità e l’integrità della pratica. Questa idea è stata mantenuta anche in Occidente, ma con una crescente attenzione all’autorità e alla legittimità del maestro, spesso interpretata in termini gerarchici. Il lignaggio, da elemento comunitario e relazionale, è diventato un marchio distintivo che conferisce prestigio e valore economico ai corsi e ai seminari di Reiki.
Questa trasformazione sottolinea come il Reiki, pur rimanendo radicato in pratiche giapponesi, sia stato reinterpretato per adattarsi alle dinamiche culturali e commerciali dell’Occidente, spesso a scapito della sua complessità storica e culturale.
Tabella: Stereotipi Generici e Specifici
Stereotipi Generici | Stereotipi Specifici Italiani sul Reiki |
---|---|
Saggezza, spiritualità, connessione con la natura | Purezza, tradizione, conoscenze ancestrali |
Onestà, semplicità, autenticità | Lignaggio incontaminato, trasmissione diretta |
Amore incondizionato, rispetto delle regole | Potere spirituale, reiju, iniziazione |
Questa tabella evidenzia il modo in cui gli stereotipi legati all’Oriente, come la saggezza e la connessione con la natura, vengono reinterpretati in Italia per costruire una narrativa specifica sul Reiki. Concetti come “lignaggio incontaminato” e “potere spirituale” sono funzionali a creare un’immagine esotica e idealizzata, che spesso esclude i significati storici e culturali originari.
Mercificazione, whitewashing, egemonia culturale e passato coloniale italiano
Un aspetto centrale per comprendere le dinamiche culturali è il concetto gramsciano di egemonia culturale, che descrive il modo in cui un gruppo dominante non esercita il controllo solo attraverso il potere coercitivo, ma soprattutto mediante il consenso culturale. In questo contesto, l’egemonia si manifesta come un processo di trasformazione molecolare, dove elementi culturali e simbolici dell’altro vengono gradualmente incorporati e modificati per conformarsi ai valori e alle aspettative del gruppo dominante.
Nel caso del Reiki in Italia, l’egemonia culturale si manifesta attraverso un’appropriazione simbolica che rimodella la pratica giapponese per adattarla alle narrazioni spirituali occidentali. Questo processo avviene in maniera quasi impercettibile, come descritto da Gramsci, attraverso il consenso culturale, che porta il pubblico ad accettare la versione occidentalizzata del Reiki come autentica. Ad esempio, l’introduzione del concetto di chakra, estraneo alla tradizione del Reiki giapponese, evidenzia come la spiritualità orientale venga reinterpretata per soddisfare un mercato spirituale globalizzato.
La trasformazione molecolare del Reiki è quindi funzionale a consolidare l’identità culturale occidentale, dove l’Oriente viene esotizzato e subordinato, e l’italianità bianca viene rappresentata come il punto di riferimento universale per la legittimazione spirituale. Questo processo rafforza l’egemonia culturale, relegando l’origine giapponese del Reiki a un ruolo di supporto estetico e simbolico, piuttosto che sostanziale.
Un aspetto spesso trascurato, ma cruciale per comprendere le dinamiche di appropriazione culturale in Italia, riguarda il passato coloniale e razzista italiano. Sebbene meno discusso rispetto ad altri contesti europei, l’Italia ha una storia di colonialismo che ha contribuito a creare una gerarchia culturale implicita, rafforzando un senso di superiorità occidentale. Le campagne coloniali in Africa orientale e settentrionale e l’imposizione di una visione civilizzatrice eurocentrica hanno lasciato un’eredità di razzializzazione che pervade ancora oggi le rappresentazioni culturali.
Parallelamente, il processo di whitewashing nel Reiki in Italia evidenzia come le radici giapponesi della pratica vengano spesso oscurate o reinterpretate per adattarsi alle aspettative di un pubblico prevalentemente bianco e occidentale. Il whitewashing consiste nell’occultare o minimizzare l’origine culturale non occidentale di una pratica, enfatizzando al contrario elementi che possono essere assimilati più facilmente al paradigma occidentale. Nel caso del Reiki, ciò si traduce nella marginalizzazione dei contesti giapponesi originali a favore di una spiritualità più generica e universale, priva della sua complessità culturale e storica. Ad esempio, è stato introdotto il concetto di chakra nel Reiki, uno dei concetti più abusati all’interno dei discorsi mercificanti sull’Oriente, che spesso distorce la comprensione autentica delle tradizioni culturali giapponesi.
Questa mancata elaborazione del passato coloniale e il fenomeno del whitewashing si riflettono anche nelle narrazioni spirituali come quelle legate al Reiki. L’adozione di elementi culturali giapponesi, come il Reiki, è spesso accompagnata da una rimozione critica delle implicazioni storiche e geopolitiche. L’Italia continua a interpretare e rimodellare tradizioni non occidentali secondo un paradigma che esotizza l’altro, mantenendo al contempo la supremazia simbolica dell’italianità bianca.
Il concetto gramsciano di egemonia culturale offre una chiave interpretativa per comprendere il modo in cui l’Occidente, e in particolare l’Italia, ha adattato il Reiki alle proprie aspettative. In Italia, questa pratica viene spesso rappresentata attraverso un immaginario esotico e mistico, che enfatizza aspetti spirituali funzionali al mercato, piuttosto che alla comprensione autentica della sua origine. La mercificazione del Reiki si manifesta chiaramente nella promozione di corsi e seminari, dove la spiritualità giapponese viene ridotta a un’esperienza “prêt-à-porter” per un pubblico bianco e benestante.
Tabella: Caratteristiche Intersezionali del Praticante Reiki
Praticante Reiki | Criteri Discriminatori | Non Praticante |
---|---|---|
Elevazione spirituale | Spiritualità, somatico | Arretratezza spirituale |
Bianchezza | Medico, economico | Non-bianchezza |
Conoscenza, benessere fisico | Sociale | Disagi economici, povertà |
La tabella analizza le dinamiche intersezionali che definiscono chi viene percepito come un “praticante ideale” di Reiki in Italia. L’associazione tra bianchezza e superiorità spirituale o benessere economico rafforza gerarchie implicite, mentre altre identità culturali o sociali vengono marginalizzate all’interno del discorso spirituale dominante.
Verso una riflessione critica
Il quadro dell’antropologia medica offre una prospettiva utile per analizzare il Reiki in Italia, evidenziando come questa pratica sia influenzata da processi culturali, economici e politici. L’antropologia medica si concentra sulla relazione tra sistemi di cura, contesti culturali e dinamiche di potere, fornendo strumenti per comprendere come il Reiki, da pratica spirituale giapponese, sia stato trasformato in un prodotto di consumo occidentale.
Attraverso il concetto di medical pluralism, l’antropologia medica evidenzia come diverse tradizioni terapeutiche coesistano e competano in un contesto globale. Nel caso del Reiki, questa pluralità è caratterizzata da un’evidente tensione tra il desiderio di autenticità e l’adattamento alle aspettative del mercato occidentale. Il processo di appropriazione culturale, analizzato attraverso questa lente, mostra come il Reiki sia stato reinterpretato per rispondere ai bisogni di un pubblico occidentale, spesso a scapito della sua complessità storica e culturale.
Gli stereotipi, se analizzati criticamente, offrono un’interessante lente interpretativa per comprendere come l’Italia costruisca la propria immagine culturale in relazione all’altro. La rappresentazione dell’Oriente, e del Giappone in particolare, come fonte di saggezza, autenticità e purezza spirituale riflette un processo in cui l’Italia, attraverso il discorso sul Reiki, riafferma la propria identità culturale. In questo contesto, il Giappone diventa un ‘altro’ mistico, subordinato e funzionale alla narrazione di un’italianità che si percepisce come moderna e universale. Tuttavia, questa costruzione rafforza gerarchie implicite che perpetuano dinamiche di razzializzazione e marginalizzazione culturale.
Per superare queste dinamiche, è necessaria una riflessione critica che riconosca la complessità culturale e storica del Reiki. Un approccio transculturale potrebbe promuovere un dialogo autentico tra le culture, valorizzando il Reiki come parte integrante della tradizione giapponese, piuttosto che come un prodotto consumabile. Solo così è possibile evitare che la spiritualità giapponese venga ridotta a un semplice ornamento esotico per l’Occidente.
Riferimenti Bibliografici
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4 Comments on “Reiki in Italia: riflessioni critiche su mercificazione e razzializzazione della pratica”
Tiringrazio Federico per le importanti precisazioni riportate nel tuo articolo che ho trovato molto condivisibile….Cari saluti
Grazie a te Raffaele
Mi sorprende quest’articolo che unisce lucidità e profondità con una certa audacia intellettuale. Quest’analisi svela, accanto alle note dinamiche di mercificazione, anche la questione di razzializzazione, francamente meno scontata, ma anche come questi processi possano svuotare Reiki del suo autentico potere spirituale. Con precisione e coraggio, mostri come la vera forza di Reiki risieda nella sua integrità e nel rispetto delle sue radici culturali. Una lettura che non solo informa, ma risveglia e ispira. Complimenti per questo straordinario contributo.
Grazie Federico!
Grazie a te, Maria Sofia. La razzializzazione delle pratiche e la marginalizzazione sono fenomeni spesso invisibili ma profondamente radicati nella maggior parte dei discorsi che riguardano il cosiddetto “Oriente” – un concetto costruito artificialmente da noi euro-americani – e continuano, in modo più o meno inconsapevole, a riprodurre gli stessi stereotipi coloniali di un secolo fa. È fondamentale parlarne, discuterne e mettere in luce ciò che resta occultato. Dobbiamo porci domande critiche sul nostro recente passato colonialista e razzista, con cui l’Italia non ha mai realmente fatto i conti, se vogliamo sperare in un futuro di maggiore inclusività e pluralismo nella società italiana. Alla fine, abbiamo sostituito termini come razza con etnia o civiltà, ma i discorsi restano invariati nella sostanza. Come affermava Said, se non esistessero diseguaglianze di potere nel mondo, le categorie di Oriente e Occidente perderebbero di significato, perché non sarebbero più strumenti funzionali al dominio.